Patrick Moya nasce nel 1955 nel Sud della Francia, dove ancora oggi vive e lavora.
La poetica del fanciullo anima l’intera opera di Moya: la particolarità compositiva che contraddistingue fortemente la sua maniera e che rappresenta la sua sigla espressiva è quella di costruire l’opera attorno alle quattro lettere del suo nome. Egli gioca tra pittura e scrittura, lavora sui piani multipli del linguaggio artistico all’interno di un suo percorso progettuale che lo porta dal dipinto alla scultura senza soluzione di continuità. Le lettere scomposte e deformate diventano simboli associati a forme e a colori e sono utilizzate quale soggetto di uno stupefacente numero di opere: pitture, sculture monumentali, installazione, pellicole, fotografie, happening.
Se l’illusione si presenta come fenomeno rappresentabile, come contenuto stesso della misteriosa macchina rappresentativa che è l’arte, il nostro artista, da grande, decide di fare il bambino: Moya coglie la componente spirituale dell’inconscio dove verità e menzogna, saggezza e follia, bene e male si confondono. Egli, grazie al gioco, approda in un terreno che sta a metà strada tra l’ordine e il disordine, uno spazio di nessuno dove l’immaginazione è una strategia e finzione di uno scopo. Moya raduna i principali personaggi del suo immaginario e li inserisce in un contesto di citazioni autobiografiche.